Gli Dei amano in silenzio

Viviamo in un’epoca molto contraddittoria: usiamo mezzi di comunicazione eccezionali, possiamo individuare pianeti nello spazio, crediamo di essere all’avanguardia nella ricerca scientifica e poi, a tratti, ci rendiamo conto che Egizi, Caldei, Greci e una marea di nostri predecessori forse avevano conoscenze ben oltre le nostre ed evitiamo di approfondire questi argomenti presi dalla paura di uno schiaffo al nostro delirio di onnipotenza!
Così accade anche per quanto riguarda la nostra ricerca interiore che, quando inizia a spingerci verso il nostro cammino, anche solamente con le prime sedute astrologiche o davanti ai tarocchi, ci porta in spazi diversi nei quali siamo costretti a prendere contatto con l’invisibile e a confrontarci con il divino quasi senza sapere di percorrere una strada già prestabilita.
Il rapporto tra noi e il nostro Io è infatti squisitamente occulto e così intimo da escludere chiunque non faccia parte di tale dinamica misterica: è un rapporto che ha connotazioni uniche, come unica è la nostra mappatura cromosomica, unica la nostra iride, unica la composizione del nostro sangue, unica la nostra scrittura.
Dalla storia abbiamo appreso le prime rudimentali informazioni sul nostro passato, sulle vittorie dell’umanità e sulle sue disfatte, a volte senza elaborare il dato che la storia non può essere un racconto obiettivo, e soprattutto che è stata scritta dagli uomini che vi hanno inciso il loro nome principalmente con ferro e fuoco.
Uomini, perché alle donne è stata demandata un’altra funzione.
È quindi la storia tramandata da chi ha reso la sua realtà soggettiva come verità per conformare l’evidenza dei fatti al proprio pensiero, per porre nuove regole e dare luce a nuovi archetipi.
Così sono stati fatti “sparire” dei e divinità che avevano la loro dignità prima della venuta del Cristo, ma è difficile credere che questi siano andati in esilio in silenzio e siano davvero scomparsi: le loro essenze sono rimaste sospese nell’aria e hanno continuato a esistere, pur non manifestandosi a tutti.
Oggi, con questa accelerazione del tempo che emerge ovunque, sono molte le domande che dovremmo porci: la prima è sicuramente il significato del nostro rapporto con il divino pagano che va cercato nell’essenza simbolica del mito e del suo perdurare oltre alla fine del mondo classico.
Non è credibile che si tratti di una “moda”: ghettizzare così un movimento dalle radici ben solide – tanto da riunire persone così diverse tra loro in un comune sentire – in stereotipi di matrice New Age è per lo meno sbrigativo.
Primi contatti
Spesso, intervistando persone di particolare sensibilità, giunte a traguardi ammirevoli in campo artistico, mi sono resa conto di quanto l’incipit del loro incamminarsi sul sentiero della ricerca risalisse a un periodo particolarmente contrastato della loro vita: il pittore Botero, rimasto orfano da piccolo, e costretto a lottare per un po’ di pane ricordava – più che la vendita del suo primo disegno – l’aver perduto per strada le poche monete da portare alla madre con una emozione ancora viva negli occhi. Alda Merini parlava della sua esperienza in ospedale psichiatrico e del dolore provato al pensiero delle sue tre figlie senza madre, separate tra di loro; Carol Rama raccontava del padre suicida e della madre in casa di cura con la leggerezza di chi ha vinto il demone della paura… ma tutti hanno confessato la loro impossibilità ad agire in modo diverso, dichiarando di aver “sentito dentro” la compulsione a tradurre angoscia e disperazione nella loro forma artistica.
Davanti a queste esperienze il pensiero va verso una sola possibile ragione esplicativa autentica: quella di un nesso preconscio e pre-logico con entità cosmiche quali gli antichi dèi, Enti cosmici che scelgono persone caratterizzate da una particolare sensibilità e ne fanno i loro strumenti per comunicare con un mondo nel quale non ci sono più miti e riti a loro dedicati.
Viene da riconoscere in certi scritti la mano di Artemide piuttosto che di Venere, nella danza di una gitana la forza di Tersicore, nella tragedia di un autore russo la voce di Melpomene, negli acuti di un soprano il soffio di Euterpe e così via fino a decodificare interamente ciò che ci circonda per essere in grado di riconnetterci con quello spazio in cui si possono percepire frequenze diverse, diverse Idee, matrici uniche per l’arte.
Chi professionalmente scrive, canta, danza, dipinge o suona con certe caratteristiche sa di essere l’interprete di una forza donata da una trascendenza, così come l’antico profetare della Pizia, la cui coscienza si ritraeva, per consegnare la propria fisicità come pura carne mediatrice del detto divino. Nel fare artistico agisce più forte, una forza che viene da lontano e che non può essere posseduta: sa che in certi momenti si può “diventare” il canto, la danza ecc. ma, quando svanisce il momento di connessione profonda, quella forza evapora e rimane un senso di distacco, di nostalgia per quanto è impossibile fermare: gli Dei sono liberi, non possono essere posseduti.
Ciò che resta sono gli scritti, i quadri, le riprese e le registrazioni, ma oramai fuori e non più tangibili nell’interiorità, se non attraverso il ricordo privato della coscienza.
L’artista sa che si tratta di realizzare un’opera che possa “parlare” anche agli altri, comunicare ciò che nello stato di ebbrezza si è stati in grado di vivere e canalizzare. Si accetta quindi la propria funzione di medium sapendo che l’atto della creazione è un attimo d’amore con la divinità, un attimo in cui si specchia l’eterno.
Impossibilità alla così detta “normalità”
Chiunque frequenti questi luoghi dell’anima sa perfettamente che è davvero raro trovare comprensione tra quelli la cui ricerca è indirizzata principalmente verso il benessere materiale: chi cerca nella materia dà la priorità alle tematiche riferite con al centro il corpo; mentre per chi vuole conoscere ciò che c’è oltre e ascoltare le richieste dell’anima il mondo fenomenico non basta, ed è costretto a dirigersi verso il mondo delle cause.
Avventurarsi nella ricerca significa disidentificarsi da ciò che ci circonda e tendere ad un unico obiettivo: la riunione con il proprio Io superiore, quello che sa di esistere anche senza il nostro corpo.
Potremo dunque rimanere ottime casalinghe o insegnanti di ginnastica o altro, ma nello stesso tempo dovremmo riuscire a sapere di non essere solo quella o quell’altra persona in un questo o quell’altro ruolo quotidiano e tendere verso la luce non solo come gioco della mente, ma come percezione reale della nostra essenza.
Nella tensione a tale riconoscimento cambia il rapporto con i prodotti della cultura corrente e i tipi di comunicazione che organizzano, ergo il rapporto con gli altri cambia: gli argomenti di interesse esulano dall’ultimo film comico e le letture non sono il tipico prodotto dell’editoria imperante. Il tempo che noi dedichiamo al contatto con gli altri diventa sempre più limitato e si incomincia ad essere “pieni di sé” tanto per chi non gradisce il nostro isolamento e ne giudica il comportamento “asociale” (trovando intollerabile l’autobastarsi) quanto per noi stessi a cui bastiamo nella nostra consistenza.

Perché la mitologia nella mia arte
(immagine)
Come gran parte degli appartenenti al segno zodiacale dei Pesci preferisco nuotare nel fondo degli abissi piuttosto che arare un campo o scalare montagne innevate: è la mia natura, governata da Nettuno, condizionata dal periodo in cui le forze della Natura premono, già in attesa della primavera.
Non è un gran merito: sarebbe stato difficile non ascoltare le voci provenienti dall’inconscio e negare misticismo e magia; che han segnato tutta la mia vita.
La grande difficoltà che da sempre mi accompagna è l’apparente razionalità (indotta per questioni di sopravvivenza in un habitat poco consono alle mie fantasie) che mi ha spesso fatto apparire come decisa e determinata, radicata nella vita pratica. Le persone che mi conoscono e leggono per la prima volta i miei scritti restano interdette e stentano a riconoscermi nella mia vera natura: le due immagini sono così discordanti l’una dall’altra da credere che non possano coesistere e in effetti ancor oggi mi capita di dovermi impegnare non poco per metterle d’accodo.
Rileggendo il Simposio di Platone mi sono resa conto però di quanto la dualità sia alla base di ogni essere vivente e di quanto il raggiungimento dell’equilibrio derivi dalla abilità capacità di affondare le proprie radici in quella nostra parte più autentica piuttosto che nell’immagine mandata avanti per relazionarci agli altri: saper congiungere le due metà, quelle in cui siamo divisi, è ciò che prelude al nostro riconoscimento profondo.
“Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione. […].
Le persone quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate sono prese da una straordinaria emozione, colpite nel sentimento di affinità con l’altra persona, se ne innamorano. […]. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza.
Grande la verità nell’insegnamento mitico del filosofo, eppure fuorviante e spesso tragica è la ricerca secondo la lettera; ovvero la ricerca dell’altro fuori di sé, perché anche quando ci illudiamo di aver trovato “l’altra metà”, vulgo l’anima gemella, e siamo convinti che nulla potrà mai separarci, cadiamo nell’errore di credere che esista davvero quell’essere in grado di colmare il nostro vuoto interiore: in realtà ciascuno di noi è solo la metà, ma di se stesso, non di qualcun altro.
Noi esistiamo a metà semplicemente perché non abbiamo la consapevolezza della nostra divinità, dell’unità che è armoniosa perfezione, ben lontana dalla cosiddetta perfezione terrena! Ecco perché percepiamo l’incompletezza, che in realtà che è solo incompiutezza.
A volte siamo così lontani da quel filamento che ci unisce al divino da credere di poterne fare a meno e di decidere con il nostro libero arbitrio della nostra vita secondo quello che la nostra mente ci suggerisce.
Perdere o sottovalutare il nucleo vero della nostra esistenza è un errore che provoca danni inestimabili: è come tagliare il cordone ombelicale a un bambino nel ventre di sua madre quando ancora la gestazione non è giunta al termine! E che cosa ci lega alla Natura se non quel “filo” invisibile?
L’anima infatti non permette a nessuno di ignorarla, a meno che non sia costretta a ritirarsi quando lasciamo spazio alle forze distruttive, quelle che ci circondano nel tentativo di sviarci, di non farci raggiungere il “sogno” da realizzare, quel sogno che è il motivo della nostra venuta sulla terra.
Le forze della controiniziazione esistono e sono potenti quanto quelle che ci sospingono verso la luce.
L’immagine dell’auriga che tiene per le redini il cavallo bianco e quello nero nel Fedro di Platone può darci un’ulteriore visione del nostro essere: solo nell’equilibrio delle forze contrastanti la nostra anima può procedere verso la luce, può giungere a identificarsi con il Sole verso il quale si dirige!
Trattenuti in falsi scopi, zavorrati da obiettivi a noi profondamente estranei, può capitare che inseguiamo un successo effimero sospinti da “energie” con connotazioni molto chiare nella mitologia classica: Marte che ci incita all’ira, Mercurio che ci rende ladri, Venere che provoca una libido senza confini, Giove che ci fa rimpinzare di dolci, Saturno che non ci fa scoprire le gioie della generosità e l’orgoglio del Sole legato all’accidia della Luna che ci inibisce definitivamente nella nostra crescita spirituale. Ed è in “Virtù dei vizi” che ho voluto mettere in luce proprio questi duplici aspetti di una stessa energia: diverso è l’approccio alla stessa tematica se la persona vive in armonia con se stessa o se viene dominata dalla divinità che impera su quel tipo di tematica. A un “voi” impregnato di vizi ho contrapposto un semplice “noi” depositario degli stessi vizi esorcizzati in quanto vissuti in positivo, nella consapevolezza della loro esistenza:
Il vostro orgoglio vi rende sicuri del vostro potere
Il nostro orgoglio ci rende liberi dall’apparire
La vostra accidia vi rende certi dei vostri credo
La nostra accidia ci aiuta a non competere
La vostra invidia vi rende ladri di idee
La nostra invidia ci rende cercatori di verità
La vostra lussuria vi rende preda degli istinti
La nostra lussuria anima solo le nostre notti
La vostra ira grida le vostre ragioni
La nostra ira alimenta il nostro desiderio di giustizia
La vostra gola vi rende ingordi di benessere
La nostra gola ci rende bramosi di sapere
La vostra avarizia vi tiene prigionieri del denaro
La nostra avarizia ci fa trattenere i ricordi dei giorni felici
È così che quando le forze nascoste tutelari si sono riversate nei miei scritti, dopo che si erano manifestate abbondantemente in altre situazioni, ho imparato a non sottovalutare i messaggi che in questo modo sono trasmessi: ho preso quindi la decisione di lasciare loro la libertà di dettare interi capitoli di opere per lo meno inquietanti, molto significative se messe in relazione con altri scritti di autori già noti.
Sono semplici indicazioni che provengono da luoghi in cui il tempo non ha significato, ma danno vita a intuizioni che vivono di un sempre presente davvero rassicurante.

(immagine)

Amore in silenzio
Non è stato semplice apprendere a far silenzio in me, poiché solo scendendo negli abissi profondi della mente, affrontando un simpatico inferno di paure, conflitti e sofferenze, ho intravisto qualche sprazzo di vuoto: un luogo dove gli Dei possono comunicare, fare udire la loro voce.
Così ho immaginato il Nirvana, una libertà totale dalla realtà immanente, ma soprattutto dal giudizio: che qualcuno pensi che io sia “un po’ strana” perché confesso di ascoltare le parole che si formano nella mia mente poco m’importa. So solo che avere la percezione diretta di una verità che può sorgere all’improvviso nei pochi attimi in cui si riesce a mettere a tacere la mente, ascoltando quel sussurro impercettibile, è davvero struggente.
Attraverso i molti esercizi ci si allontana dalle illusioni della mente, quelle che oggi stanno soffocando la magia, quelle che ci portano a perdere il significato arcano della vita e a seppellire il sacro, rinnegando, rinunciando troppo di frequente alla conoscenza vera, alla saggezza primordiale e divina dell’uomo.
È così che si rinuncia all’amore senza condizioni, all’amore che sta alla base della vita, perché è lì che dimora l’impulso alla vita.
Il problema è che solo attraverso questa forma d’amore incondizionato verso la divinità, verso quella parte dell’umanità in cui si riflettono le divinità, superando il pesante muro della materia, cogliamo la possibilità di avvicinarci alle sorgenti della vita che come il Sacro Graal è nascosto per essere protetto nella dimensione terrena, nel momento in cui si disvelano riconnettono l’umanità alla sua vera natura eterna.
Non esistono maestri, non ci sono scuole o chiese che possano fornire strumenti per un tale “salto” in cui abbracciare l’infinito: esiste solo l’Amore e non per nulla anche il Cristo è stato un Dio d’amore.
Libertà dai dogmi, dagli schemi rigidi, dai condizionamenti della mente sono le uniche vie per poter davvero ritornare a vedere il sorriso degli Dei.

Chicca Morone.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *