La più recente opera di Chicca Morone, “Il soffio della luna”, è un compendio di racconti che sarebbe più che legittimo, ma assai riduttivo, leggere lasciando che ogni narrazione resti un brano a sé stante, invece di considerare tutti i racconti nel loro insieme. Sono perle – dice nella prefazione Ilaria Gallinaro – legate tra loro da un filo sottile e trasparente, sì, ma tanto logico e tanto seducente da dare forma a una collana che sarebbe un peccato assai poco veniale trascurare nella sua compiutezza. E si tratta di una compiutezza che parla dell’Autrice più ancora dei personaggi che fa muovere tra le pagine, e che dice molto sul già lungo cammino letterario che la Morone ha sin qui percorso ed al quale sembra voler restare felicemente fedele.
Ma, innanzi tutto, di cosa parla il libro? Parla d’amore, ma non s’attenda chi legge che le tante vicende qui narrate ricalchino gli schemi romantici cui siamo avvezzi: si alternano infatti nei racconti dolcezza e violenza, complicità e sopraffazione, orrenda crudeltà e sublime sacrificio. L’amore che siamo invitati a esplorare dall’Autrice è quello “originale”: è l’immensa energia, l’inestinguibile forza positiva che ha generato l’Universo e che, in ogni tempo ed in ogni collocazione geografica, attraverso l’eterna attrazione tre il maschile e il femminile, non solo determina la sopravivenza fisica del genere umano ma con la difficile, a volte drammatica ricerca della fusione perfetta del corpo e dell’anima, esorbita dai confini terreni per volare alla conquista del ricongiungimento con il divino.
In ciascuna delle tre parti di cui il volume è composto (Lo splendore della Luna – La voce della Luna – Luna d’amore), solo a volte i protagonisti hanno un nome e una storia alle spalle: in altre sono solo un pronome maschile o femminile, perduto in epoche e in luoghi lontani, dove l’uomo portava l’armatura e la donna il velo. Ma la scelta di questi nomi e di questi sfondi è tutta metaforica e i secoli evocati non sono mai epoche storiche, ma epoche dell’anima, luoghi in cui meglio si manifesta il prevaricare violento dell’uomo e la sua paura, il silenzio della donna e il suo desiderio di essere accolta.
“Il soffio della Luna”, insomma, pur essendo un libro che conferma tutte le scelte espressive dell’Autrice, tra i fondatori con Giuseppe Conte e Stefano Zecchi del movimento letterario mitomodernista, ha in sé qualcosa di diverso da qualunque opera abbia scritto in precedenza. Il grande protagonista rimane il mito, la divinità, l’iniziazione degli umani a comprendere, a penetrare i segreti e i poteri degli dei: anche questa volta la scrittura, il linguaggio usato dall’Autrice, non potrebbe essere più conforme ai temi trattati e la Morone ci conferma, dunque, quanto sia abile nel destreggiarsi con le parole in una ricchezza di vocabolario, oramai in via d’estinzione, che riconcilia il lettore con la sua lingua madre.
Al di là di queste forti analogie, però, resta l’impressione che, con “Il soffio della Luna”, Chicca Morone abbia voluto riassumere in una sola opera tutte le sue trascorse acquisizioni: vuoi sotto il profilo della crescita culturale, vuoi riguardo alla maturazione della propria coscienza individuale di persona sempre protesa verso ricerca del senso più sostanziale dell’Esistere.
Ecco che allora si manifesta forte e chiara, in queste pagine, la complementarietà tra l’erudizione e la consapevolezza. Erudizione, perché la conoscenza del mito, questo gigantesco sforzo compiuto dall’uomo nella Storia per apprendere, interpretare, “significare” il suo essere ed il suo agire – vuoi come singolarità individuale, vuoi in quanto comunità – richiede fuor di dubbio uno studio di dimensioni immani (Riflettiamo sulla vastità dell’argomento: ogni popolo della Terra si è adoperato nel narrare una propria cosmogonia, offrendo una raccolta così ricca da trasportare nell’Olimpo dei Greci, nel Pantheon dei Romani, alla Corte di Odino, ai totem indo-americani; ai feticci dei neri-africani, alla teocrazia degli Aztechi e quanti altri ancora. Un campo, appunto, immenso che Chicca Morone non trascura in nessuna delle sue versioni).
Consapevolezza, poi: perché se la mitologia va considerata come un “corpus” di insegnamenti espressi, sin dall’origine dalla vita umana, in forma metaforica; se Gustav Jung, meno di un secolo fa, trova nella personalità dell’individuo il prodotto e la sintesi della sua storia ancestrale, come si può supporre che anche la pura e semplice conoscenza del mito non induca ad una cognizione della propria natura che va ben al di là del semplice nozionismo?
Ne “Il soffio della Luna” l’Autrice sottende, dunque, che una volta introitata e assimilata la nostra storia più antica; una volta constatata l’esistenza di un inconscio collettivo che trae origine dall’archetipo, il mettere in uso queste fondamentali acquisizioni rende possibile penetrare meglio in se stessi per meglio scoprirsi, ed anche per meglio curare – perché no – quei mali dell’anima che ci tormentano a tutt’oggi.
In questo senso, il compendio di racconti non potrebbe essere più convincente. E s’intitola forse “Il soffio della Luna” perché, attraverso il suo alito pieno di mistero, spinge con suadente determinazione a riscoprire ciò che in noi dovrebbe essere ben più familiare. Non ultimo, perché porta la firma di un’Artemide dei nostri giorni oramai giunta ad una maturità di sapienza e di “illuminazione” a prova di qualsiasi dubbio.
Anna Antolisei
Febbraio 2008
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